In Italia, come in Europa, la povertà si presenta direttamente correlata con le trasformazioni della struttura produttiva e del sistema sociale che hanno caratterizzato la fine degli anni 90 e i primi anni del 2000. Una trasformazione che ha scatenato una sequenza di crisi finanziarie delle quali l’ultima del 2008 è sfociata in una devastante crisi economica globale.
E se in passato la povertà era riferita quasi esclusivamente alle persone che si collocavano ai margini della società, e si presentava come un fenomeno statico, legato soprattutto alle fasce sociali che occupavano i livelli più bassi della società, oggi, con le crisi economiche che si sono succedute, di fatto sono emerse situazioni di disagio e fragilità a vari livelli, denominate “nuove povertà”, e caratterizzate da un processo di mobilità discendente rispetto ad una posizione economica più elevata e precedente.
Infatti oggi capita molto spesso di trovarsi di fronte a persone che fino a quel momento hanno condotto una vita “normale” ma ora che il contesto socio economico è mutato si trovano privi dei supporti economici necessari, privi di una classe sociale in cui riconoscersi e privi di legami sociali significativi.
La precarietà del lavoro, ma anche un reddito da lavoro insufficiente, un basso tasso di occupazione femminile, la contrazione dello stato sociale, e la fragilità dei legami e delle relazioni familiari e interpersonali hanno portato le persone in situazioni personali e sociali molto difficili e tali da generare reazioni anche molto pesanti: dalla più estrema come il suicidio o a riflessi sulla salute come la depressione, ma anche altre malattie. Si è poveri dunque perché non si possono comprare le cose che servono ma anche perché non si ha attorno a sé un ambiente che queste cose le offra, che siano beni materiali o servizi o beni immateriali. Schematizzando possiamo dire infatti che sono tre le prospettive attraverso le quali viene letta e analizzata la povertà.
- La prospettiva del reddito
- La prospettiva dei bisogni fondamentali, che va oltre il reddito per includere nel calcolo anche il bisogno di una comunità di avere strutture e servizi sociali di base in grado di prevenire le povertà.
Infine, la prospettiva delle opportunità tiene conto del fatto che la povertà non è solo economica, ma riguarda la possibilità o impossibilità per le persone di esercitare determinati diritti, come quello di poter accedere al cibo, ad un’istruzione adeguata, ad avere un’abitazione sicura e pulita, ecc. Al centro di questa prospettiva non c’è più solo l’aumento del reddito, ma il miglioramento della qualità della vita che include la libertà di esprimersi, di scegliere, la libertà di sperare in un futuro migliore.
La povertà è dunque da considerarsi un fenomeno multidimensionale che in quanto tale si articola su diversi livelli di bisogni:
- I bisogni primari, composti dai beni materiali;
- I bisogni secondari, la cui soddisfazione dovrebbe essere affidata alle istituzioni;
- I bisogni relazionali, composti dai rapporti interpersonali e dalle relazioni affettive.
E perciò necessario che si verifichi un radicale cambiamento di prospettiva in cui il lavoro venga visto come un elemento che aiuti a costruire l’identità, l’appartenenza e l’integrazione; e che si cominci a riflettere sull’attuale società, caratterizzata da legami deboli, in modo che le relazioni sociali possano diventare lo strumento centrale per contrastare la povertà e l’emarginazione.
La povertà in quanto fenomeno sociale incide moltissimo sul territorio non solo come danno economico ma anche come danno di democrazia. Cresce infatti l’insicurezza e la percezione delle persone è di estrema vulnerabilità, di una pesantezza del vivere che porta a parlare di una precarizzazione della società; e le persone che in Italia vivono in povertà assoluta e relativa sono moltissime e uno sguardo preoccupato deve andare ai minori verso i quali c’è scarsa attenzione soprattutto in relazione alle conseguenze che la povertà genera sui ragazzi e sui bambini. Una mancanza che riproduce povertà intergenerazionale. Se consideriamo poi i dati Istat pubblicati a 18 giugno 2019 e relativi al 2018, si stima siano oltre 1,8 milioni le famiglie in condizioni di povertà assoluta, mentre le famiglie in condizioni di povertà relativa nel 2018 erano più di 3 milioni (11,8%), Nel Mezzogiorno inoltre il 10% delle famiglie è in povertà assoluta; e i minori in povertà assoluta sul territorio nazionale sono 1.260.000 (12,6% dei minori), mentre l’incidenza della povertà assoluta fra i cittadini stranieri è del 30,3%.
Cifre molto molto importanti che mostrano si una Italia difforme con prevalenza di poveri al sud, ma come precisa la stessa ISTAT, è chiaro che la povertà non interessa più solo le regioni del sud ma coinvolge anche le metropoli del nord; affligge soprattutto gli stranieri, aumenta in particolare tra i giovani e coinvolge 1 milione 200mila minori.
Dunque la povertà non è solo il metro della distanza del povero nei confronti del ricco, non misura solo la frattura tra prodotti interni lordi (PIL), non è solo un parallelo che separa geograficamente il Nord dal Sud. La povertà è un fenomeno molto complesso, multidimensionale appunto che dipende da numerosi fattori ed è soprattutto connesso con l’accesso alle opportunità e quindi con la possibilità di partecipare pienamente alla vita economica e sociale del paese.
Si tratta inoltre di un fenomeno in aumento, sempre più drammatico e riconducibile come abbiamo visto ad una varietà di condizioni (occupazionali, abitative, relazionali) e che impongono risposte mirate per affrontarlo in modo efficace.
L’Italia nell’ambito della strategia europea Eu2020 si era impegnata a ridurre di 2,2 milioni le persone a rischio povertà o esclusione sociale, una promessa mancata, purtroppo, almeno per ora, secondo quanto emerso dall’ultimo rapporto Asvis sugli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Concludendo si può ben capire, come in questo contesto il volontariato ricopra un ruolo chiave nel contribuire a ricercare soluzioni che siano in grado di far fronte alle vecchie e nuove povertà, e favorire la ricostruzione di una società che abbia come valore fondante la relazione. (Tramite l’aggregazione e la condivisione). Per questo è necessario un dialogo, un dialogo sempre più stretto tra le Associazione di volontariato, creando rete, e tra queste e le istituzioni in una prospettiva sempre più attenta e puntuale di sussidiarietà e solidarietà.
Abbattere la percentuale di popolazione a rischio di povertà, ridurre il tasso di abbandono scolastico, garantire l’accesso ai servizi sanitari e di cura efficaci, sono obiettivi fondamentali non soltanto per la politica ma anche per le Associazioni di volontariato.
Il compito di questo convegno è a mio avviso quello di procedere ad una attenta riflessione e un’attenta analisi sul ruolo che il terzo settore può assumere in questo contesto e di quanto e come le ODV possono essere e agire da vere protagoniste su questo fronte.
Nel film “L’attimo fuggente”, Robin Williams, nei panni dell’insegnante di letteratura John Keating, fa salire i propri alunni sopra la cattedra durante la lezione per ricordare loro l’importanza di adottare prospettive diverse nell’osservare le cose, ecco io mi auguro che dal mondo del volontariato arrivi una riflessione con prospettive nuove che aiuti a contrastare la povertà in tutte le sue forme. Non ricette ma visioni.
Grazie infinite e buon lavoro.